Per Marta Laudani la casa dell’architetto è un laboratorio di progettazione

15 Gennaio 2025

Marta Laudani

L’architetto e designer, con base a Roma, racconta di come ha progettato la sua casa e descrive il linguaggio “semplice” del suo design.


Marta Laudani è un architetto e designer che progetta interni per abitazioni, oltre a mobili e sistemi di illuminazione, collaborando con aziende in sintonia con il suo approccio progettuale. Questo, come lei stessa descrive, si basa sulla funzionalità come punto di partenza, proseguendo poi con la personalizzazione.

Questa visione si applica sia all’architettura che al design. Nel primo caso, creando una casa che sia operativa ma che sappia assecondare la soggettività di chi la abita; nel secondo caso, non solo assolvendo una funzione ma anche offrendo uno spunto narrativo a chi sceglie un arredo, una luce oppure un accessorio da lei disegnato, come nel caso di Floret, collezione appena presentata per Covo.

Nella progettazione della tua casa, quali sono state le priorità?

Ho sempre pensato che progettare per sé stessi fosse un grande privilegio. Un’occasione di approfondimento, di libertà, alla ricerca di spazi inesplorati, oltre il consueto. Ponendosi obiettivi sui quali non sempre è facile convincere i clienti.

In particolare, nella mia casa ho voluto sperimentare un uso estensivo del metallo in tutti gli arredi, fissi o mobili: librerie, tavoli e porte, ma anche armadi-guardaroba, mobili da cucina, specchi o appendiabiti. La verniciatura bianca ha poi uniformato tutto, assimilando gli arredi alle pareti e ai soffitti, rendendo incerti i confini fra i diversi elementi. Inoltre, ho voluto introdurre nel progetto un carattere di sorpresa, inserendo alcuni piccoli “giochi”. 

Lievi straniamenti, situazioni inattese che rendono meno consueti alcuni comportamenti domestici. Come entrare in cucina attraverso una porta che sembra un muro, consultare una ricetta appesa alla parete, in un leggio di metallo. Ma anche, aprire le finestrelle (bianche o nere in base all’umore) che nell’armadio in camera da letto consentono di modificarne i prospetti. Oppure ancora, guardare attraverso i buchi sulla lamiera che nei pensili della cucina disegnano una costellazione. Cui fa da contraltare un cielo di Kiefer che sfonda il soffitto su una notte stellata.  

Marta Laudani_interno abitazione 3

In generale cosa pensi che sia fondamentale nella progettazione di una casa?

In primo luogo, sicuramente, i problemi funzionali, distributivi e tecnologici, cioè tutte le necessità pratiche di chi dovrà abitarla e che rappresentano un punto di partenza ineludibile. Penso però che sia poi molto importante interpretare (direi quasi portare alla luce, facendoli emergere) gli interessi e la personalità di ogni abitatore-di-casa.

Casa che alla fine dovrebbe essere quasi un ritratto, capace di evidenziare le specificità delle diverse persone, in un percorso di conoscenza di sé stessi. Per me è sempre stata una grande soddisfazione sentirmi dire dai clienti, magari a distanza di anni, che si riconoscevano completamente nella casa che avevo progettato, che la sentivano proprio come la “loro” casa e non avrebbero potuto cambiarla con nessun’altra.

Come è nata la collaborazione con Covo e in cosa ti senti affine a questa azienda? Quali sono le caratteristiche della nuova collezione disegnata per l’azienda?

Covo è un marchio che seguo da anni con molto interesse. Sono stata quindi felice di avviare una collaborazione con loro. Anche perché ne ho sempre apprezzato l’approccio al progetto estremamente rigoroso (vorrei dire quasi scandinavo/giapponese), anche in tempi di decorativismo debordante e ritorno del post-moderno. Sono diversi i punti di confluenza o, se vogliamo, le affinità. Ad esempio, la concezione del design come racconto, cui ogni oggetto aggiunge una parola o una frase.  Con pezzi che sono delle presenze mai indifferenti o anonime.

Oggetti d’affezione destinati ad accompagnarci nella nostra vita. Ci avvicina anche l’idea che la contemporaneità debba conservare un legame con la tradizione attraverso un linguaggio semplice, ma riconoscibile. E il rapporto costruttivo con l’artigianato, coinvolto spesso nei processi di prototipazione degli oggetti. “Floret”, (questo il nome della nuova collezione) nasce dalla geometria dei fiori, al contempo semplice e complessa.

Marta Laudani Covo Floret

Ma anche dalla suggestione delle luminarie che hanno rallegrato la nostra infanzia, nelle strade di città o paesi. È un progetto che vuole avere una forte identità, ma senza forzature spettacolari, e conservare una componente gioiosa.

Una parte importante del tuo lavoro è costituita dalle collaborazioni con marchi indipendenti e di nicchia, che tipo di ricerca ed esperienza progettuale ti offre?

Negli ultimi anni ho avuto l’opportunità di lavorare anche con alcune realtà produttive artigianali di grande qualità. Un tipo di collaborazione che mi ha permesso di spingere la riflessione in territori diversi da quelli che caratterizzano il progetto per aziende di produzione industriale. In particolare, è stato per me di grande interesse il rapporto con uno straordinario artigiano giapponese, Hiroaki Usui, che lavora il legno utilizzando le più antiche tecniche della tradizione locale. Ne sono nati una serie di vassoi che rileggono alcune suggestioni del paesaggio: la campagna con i suoi campi dai diversi colori, un arcipelago, la forma degli isolati urbani. Segni di una geografia tutta da ridisegnare nella nostra immaginazione.

Altra esperienza, per me totalmente nuova, è stata il lavoro con “Luci di seta”, un’azienda veneta che produce lampade in tessuto (fatte a mano e completamente italiane per lavorazione e materiali utilizzati).

Un’esperienza che ha dovuto superare diverse difficoltà, come la complessa realizzazione delle armature di sostegno, ma che mi ha consentito di esplorare forme organiche irregolari e volumetrie asimmetriche. Per tradurle in una famiglia di lampadari-scultura da sperimentare con il movimento, perché mutevoli al variare di ogni punto di vista.

Scopri l'evento