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Vai allo shop15 Novembre 2021
I due architetti tornano all’essenza del proprio lavoro in un percorso catturato e raccontato nel film “L’importanza di essere architetto”
Per il design è tempo di cross-over, con la moda innanzitutto ma anche e sempre di più, con il cinema. Alla fotografia, dunque, si aggiunge anche il video, come strumento ideale per raccontare le architetture e la progettazione. Lo conferma la nona edizione del Milano Design Film Festival che da poco si è concluso. Tra i protagonisti ci sono anche Antonio Citterio e Patricia Viel. I due progettisti italiani, tra i più influenti al mondo, si raccontano nel film “L’importanza di essere architetto”: un’occasione per tornare a focalizzarsi sull’essenza del proprio lavoro e sulle priorità dell’architettura.
Lavorare a questo film vi ha, in qualche modo, rivelato aspetti del vostro approccio alla professione di cui non eravate consapevoli?
Patricia Viel: Da architetti ci è spesso capitato di avere a che fare con i fotografi, i quali sono spesso gli unici che riescono a cogliere l’essenza di un progetto, cristallizzandola in un’immagine. In questo film invece i registi hanno avuto l’idea di percorrere le nostre architetture attraverso la musica: i suoni si insinuano e gli ambienti è come se prendessero vita. Ecco questo è stato un modo di indagare l’architettura totalmente nuovo per me!
Antonio Citterio: In generale questo film mi ha dato l’occasione per guardarmi indietro e riflettere sulla mia carriera da designer e da architetto. Più che rivelare aspetti sopiti è stato un grande lavoro di sintesi. Che, in verità, è l’approccio che mi ha sempre guidato: non ho mai voluto sconvolgere o esagerare, ma mi è sempre interessato arrivare ad una sintesi che rendesse unico ogni gesto progettuale.
Concetti come “Creare dei luoghi dove le persone stanno bene” e “Gestire la complessità” dovrebbero essere sempre la base della progettazione: pensate che, invece, si sia perso questo senso dell’architettura?
Antonio Citterio: Il fine ultimo dell’architettura credo sia quello di creare dei luoghi dove le persone stanno bene, dove hanno delle emozioni positive. Questo lo si può fare solo se si è capaci di trasformare la complessità in un valore per il progetto e rendere il fruitore il vero protagonista di quello che stai progettando.
Patricia Viel: Le due cose vanno di pari passo. Ogni progetto presenta le sue complessità ed il compito dell’architetto è proprio quello di saper gestire questa complessità, guardando al tempo presente e al futuro, mettendo a disposizione strumenti per rispondere alle domande che ancora non si conoscono.
Progettazione di arredo e luci: in queste categorie qual è il filo conduttore (se c’è) di ciò che avete fatto fino ad oggi?
Antonio Citterio: Lo dicevo prima, ogni progetto ha il fine di creare un ambiente che sia a servizio dell’utente, che lo renda felice, che lo faccia stare bene. Questo a prescindere se si parla di uno sviluppo urbano di grande scala o di una poltrona, i contesti possono cambiare ma il nostro approccio è lo stesso. Una lampada, ad esempio, non è mai solo una lampada, ma è l’atmosfera che si crea attorno ad essa. C’è sempre molto di più oltre all’oggetto che progettiamo.
C’è qualcosa a cui dobbiamo rinunciare per vivere e progettare/costruire in armonia con l’ambiente?
Antonio Citterio: In questo momento di pandemia, tanti studiosi si sono domandati se e quanto cambieremo del nostro modo di vivere. L’unica cosa che spero non torni come prima è la poca attenzione alla fragilità della natura e delle risorse della terra.
Patricia Viel: Non è una questione di rinunciare a qualcosa per qualcos’altro, ma di ritrovare un equilibrio. L’ambiente naturale dell’uomo è l’ambiente costruito, perché l’essere umano ha bisogno di altri essere umani, con i quali vivere in una comunità: è il suo modo più naturale per vivere, per esprimersi, per trovare il suo equilibrio, per essere felice. Vivere in una comunità che lo rispetti e in un ambiente urbano che lo sappia accogliere, in armonia con la natura, sarà la forma di vita urbana che vivremo. Ci sarà una reciprocità, una simbiosi con l’ambiente: da una parte l’essere umano libera delle potenzialità del suo contesto, e il contesto farà lo stesso verso chi lo abita. È così che funzionano gli ecosistemi, dobbiamo solo imparare di nuovo a farne parte.
Photo credits copertina: MyBossWas