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Vai allo shop25 Ottobre 2024
Forcellini riflette la sua generazione di designer: cresciuta in una cultura progettuale serenamente in equilibrio tra analogico e digitale.
Francesco Forcellini è nato 36 anni fa a Milano, cresciuto a Firenze, tornato a Milano per studiare al Politecnico e poi sbarcato a Londra ed Eindhoven per completare la sua formazione e mettere a fuoco la sua visione. Il suo percorso ha attraversato già molti luoghi significativi per il design e ciascuno ha contribuito a dare forma al suo stile, che in una sintesi inaspettata abbraccia le armonie classiche del Rinascimento fiorentino e le opportunità immaginifiche del design generativo.
Lui parla di influenze incoscienti e si riferisce ai diversi modi di fare design e anche estetiche diverse – danese, londinese e italiano – che lo hanno aiutato ad avere una visione più ampia e completa della materia.
Firenze, Londra, Eindhoven, Milano: in che modo queste città hanno influenzato la tua visione estetica?
Sono cresciuto a Firenze e mi ha influenzato molto in fase adolescenziale sui canoni estetici: queste proporzioni classiche, armoniche, rinascimentali, che camminando si vedono e vengono interiorizzate, diventavano per me molto familiari perché le vedevo tutti i giorni, magari andando a scuola. Poi devo dire che anche Milano è molto bella, secondo me, nella sua architettura, magari più legata ai pattern, alle ripetizioni architettoniche.
Così come Londra, invece, è molto più varia. Anche per le opere d’arte: a Londra sono tornato di recente a vedere alcuni quadri che mi piacciono molto, che sono nei musei. E quindi sì, quel vissuto mi ha molto influenzato e in maniera poco cosciente, in un certo senso.
Negli anni hai incontrato o studiato un designer o un’azienda da cui ti sei sentito ispirato in particolare?
Sicuramente quando ho iniziato a lavorare con Bentley Home mi ha stimolato il mondo dell’automotive, che ha delle curve, dei disegni, un modo di approcciare il design molto diverso dal classico design di arredamento. È stata una bella sfida partire da quella cultura estraendone i codici senza renderli troppo visibili – perché non vogliamo un elemento d’arredo che ricordi un’automobile in modo esplicito – è stata un’esperienza molto fresca per me e mi ha permesso di arricchire il mio linguaggio.
Secondo te, la tua generazione in cosa può rendere migliore lo scenario del design nel complesso?
Secondo me la responsabilità che abbiamo è di mettere dei valori dentro quello che facciamo, quindi cercare, ognuno, di inserire i valori che ritiene più opportuni. Non è più solamente una questione di linguaggio, di disegno, di esprimere la propria personalità, ma anche di dare risalto a come le cose sono prodotte, alla sostenibilità del prodotto, una certa etica di manifattura ma anche di cercare di fare delle cose che abbiano un significato. Anche perché il mercato è saturo e quindi penso che ci sia molto bisogno di senso, di concretezza.
Oltre ai progetti che porti avanti con le aziende hai spazio per coltivare i tuoi progetti indipendenti?
Sì e questo avviene in vari modi: normalmente cerco di sperimentare delle tecniche, ad esempio legate al cucito, all’intrecciato, cose che si possono modellare senza troppa tecnologia per poi magari passarli su dei macchinari più avanzati.
Queste ricerche possono entrare in delle produzioni commerciali oppure no. Una cosa, secondo me, abbastanza interessante su cui ho lavorato negli ultimi anni è il design generativo. In un progetto che ha partecipato al fuori salone a partire da degli intrecci manuali, è stato creato un codice javascript che poi generava queste immagini di tessuti intrecciati unendo dei pattern realizzati in modo tradizionale e non, in maniera casuale.
Questo genere di ricerche è una sorta di carburante, di gioco, che non deve per forza portare a qualcosa di commerciale, ma magari proprio per questo si è più liberi di cercare cose diverse e poi talvolta vengono integrate nei prodotti.
Secondo me, c’è un risultato abbastanza interessante di queste dinamiche nei vasi Trace fatti per Cappellini nel 2021.
Ero ancora a Eindhoven e con una delle prima stampanti 3D iniziai a stampare, a fare delle prove di superfici senza un obiettivo preciso in mente. Poi notai che si creavano tutte queste imperfezioni e da questa ricerca poi sono nate le basi per fare quei vasi il cui primo positivo viene stampato proprio in 3D.
Quindi a volte i risultati di una sperimentazione vengono applicati e a volte no, però, secondo me, sono molto importanti per continuare a pensare in maniera libera e anche svincolata.